DAL 18 AL 21 APRILE 2024
Giovedì, Venerdì e Sabato ore 21,00 – Domenica ore 17,30
COPPIA D’ASSI
L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA – IL CANTO DEL CIGNO
di Luigi Pirandello e Anton Čechov
Regia Giovanni de Nava
Con Giovanni de Nava
e con Piero Sarpa
Produzione Associazione Culturale LAROS di Gino Caudai
COPPIA D’ASSI, perché si tratta di due noti atti unici che sono autentici piccoli capolavori, due ‘Assi’ della drammaturgia mondiale d’ogni tempo: “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello e “IL canto del cigno” di Anton Cechov; due modi di interrogarsi di fronte alla morte e al senso della vita, nella scrittura scenica di due giganti della drammaturgia. Ma COPPIA D’ASSI anche perché rappresentano due “pezzi forti” del repertorio di Giovanni de Nava, uno degli ultimi straordinari mattatori del teatro italiano, il quale, a distanza di circa un trentennio dall’ultima volta, ha deciso di riportali in scena, un po’ per una sorta di “nostalgica” reviviscenza e un po’ per – afferma – verificare come questi suoi “figli” scenici “siano nel frattempo cresciuti e maturati”. Il file rouge che unisce i due atti unici è costituito dalla consapevolezza dei due protagonisti di essere oramai prossimi ad una fine. Ne “L’uomo dal fiore in bocca” assistiamo all’incontro fortuito di due sconosciuti nel grigio bar di una stazione, al dialogo che si instaura tra i due, al dramma che corrode uno di essi (l’uomo dal “fiore” in bocca, appunto). La vita può apparire banale in ogni suo risvolto quando la sua fine ci appare lontana, ma quando essa ci abita e ne abbiamo la coscienza, quale valore assume la vita anche nel suo manifestarsi più consueto e diuturno! Ed è allora, solo allora che si attacca ad essa, disperatamente, come un “rampicante attorno alle sbarre di una cancellata”. Ne “Il canto del cigno” la fine è di altro segno: quella di un vecchio attore che, dopo aver celebrato in una “serata d’onore” l’abbandono delle scene, ubriaco si addormenta in camerino e si sveglia, a notte fonda, nel teatro vuoto, che “vede per la prima volta”. Mentre considera che la vita è passata senza che se ne sia accorto e si accinge a tornare a casa, si imbatte nel vecchio suggeritore che, ad insaputa di tutti, dorme proprio in teatro. Tra i due nasce un dialogo nel quale l’attore rievoca la propria vita e le passate glorie sceniche interpretando, in un ultimo “canto del cigno” appunto, alcuni brani di opere che lo hanno visto trionfare. Va però marcata una differenza tra i due atti unici: se “L’uomo dal fiore in Bocca”, infatti, appartiene al genere “drammatico”, Il canto del cigno è invece espressione massima del genere “grottesco”, ovvero della mistura tra tragico e comico di cui Cechov fu maestro indiscusso (“io scrivo vaudevilles tragici” affermava); e per un attore che, pur possedendo un temperamento tragico di fondo, è anche gestore di “penchants”, se non proprio comici, di sicuro brillanti, niente è più stimolante dello scontro (amoroso, s’intende) con un personaggio grottesco… soprattutto se si tratta di un attore.